Le Notti di Nibiru GDR: perché scrivere un fantasy

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Tolkien, Martin, Erikson, Le Guin. Il Signore degli AnelliWarhammer, poi tutte le varie saghe della Margaret Hickman e di Dragonlance, la Saga di Geralt di Rivia, in qualche modo anche Harry Potter. E ancora molti, molti altri. Ogni volta che nomini un autore fantasy, subito un altro salta fuori: di Terry Brooks ce ne dimentichiamo? Paolini? Swanwick? Chissà quanti nuovi autori vedremo cimentarsi ulteriormente con il genere e ridefinirlo, reinventarlo… oppure ereditarlo così com’è e raccontare ancora di nani, elfi e draghi.

Cosa accade però se avete una idea per una ambientazione fantasy originale e volete, partendo da zero, mettere a frutto quanto scrivete? Sinceramente, non saprei cosa dirvi. Ma da autore del setting de Le Notti di Nibiru ho deciso di mettere insieme qualche non consiglio per chiunque volesse cimentarsi in questa impresa – e anche di condividere un mio personalissimo pensiero sul perché sia ancora possibile scrivere ambientazioni fantasy per dei giochi di ruolo.

Non essere troppo estremo nei contenuti

Le Notti di Nibiru è descritto spesso dagli stessi betatester come un gioco molto originale, un punto di onore per il sottoscritto. Eppure questo può produrre dei grossi problemi: se la vostra ambientazione è totalmente originale e non ha alcun tipo di appiglio con il mondo in cui viviamo, allora dovrete aspettarvi che i giocatori imparino tutto da zero. Usanze, costumi, economia, società, eccetera.

Certo, non per questo la soluzione è creare un fantasy iper-classico: ogni ambientazione fantasy, benché sia apparentemente simile a molte altre, avrà le sue peculiarità. Anche se doveste prendere i classici punti fermi del genere, come quattro tra le razze più comuni (elfi, umani, nani, orchi), dovrete distinguervi dalla massa – sempre che il vostro intento sia vendere e farvi conoscere al pubblico – e non c’è nulla di male nel voler strutturare un progetto con lo scopo principalmente di diffondere le vostre idee.

Per quanto mi riguarda, in Le Notti di Nibiru avevo già scovato all’epoca del primo concept (a febbraio 2016) alcuni elementi fortemente originali, tra cui la trasformazione degli umani e degli alieni e i poteri dei personaggi basati su componenti chimiche geneticamente manipolabili. Da qui mi sono mosso verso lidi più conosciuti, in modo da dare qualche appiglio a chi sarebbe stato al tavolo per decidere cosa giocare: questo è fondamentale soprattutto in un gioco di ruolo, dove si richiede una certa azione da parte di chi fruisce il nostro prodotto – vale a dire che per un romanzo forse non darei gli stessi consigli.

I miei appigli per i giocatori sono stati, tra i tanti, gli Archetipi, che richiamano alla memoria classici ruoli del fantasy, dal barbaro al paladino, dall’illusionista allo scout, dal druido al bardo. Certo, tutto declinato in salsa nibirunense… ma almeno è più immediato comunicare ai giocatori come dovranno costruire o scegliere il loro PG all’inizio di un’avventura!

Non lasciare i Giocatori da soli nel tuo mondo senza “una mappa”

Ok, una breve premessa. Se voi volete giocare una partita di gdr ambientato nel mondo del Signore degli Anelli o di Harry Potter e siete anche solo un poco dei fan saprete già subito, dall’inizio, cosa è o cosa non è ambientazione. Se vado a giocare a Dragonlance so benissimo che i Cavalieri di quell’ambientazione hanno, ad esempio, determinate caratteristiche; oppure giocando al Signore degli Anelli sapresti che, inoltrandoti in una zona abbandonata di Moria, salteranno fuori determinate tipologie di creature – anche se quella zona l’hai inventata tu come Narratore/GM.

Qui c’è l’ostacolo principale di una ambientazione originale: non essendoci un folto gruppo di fan, non essendoci opere narrative che possono aiutarti a comunicare cosa sia o non sia d’ambientazione, spesso dovrai fermarti a metà delle partite per pensare: “ma le palle di fuoco hanno senso?”; o anche “ma le palle di fuoco qui sono globi di fuoco naturale oppure è fuoco magico?”.

Ecco il motivo per cui ho voluto introdurre qualcosa che d’ora in avanti userò sempre in ogni mio setting, ovvero il cosiddetto Paradigma di Nibiru. Un paradigma è un modello di riferimento che viene usato per capire, ad esempio, come declinare i verbi: nel caso di una ambientazione il paradigma aiuta a capire se un elemento descritto in gioco ha senso per l’ambientazione.

Nel mio caso il Paradigma è formato da quattro domande che un Giocatore qualsiasi (Narratore incluso) può porsi di fronte ad un PNG che utilizza una pistola ad acqua che corrode il metallo. Ovviamente sta ai giocatori capire quanto vogliono essere profondi in questo processo, cioè decidono loro quante domande porsi di volta in volta – ma anche soltanto una domanda del Paradigma aiuta!

Non lasciare l’originalità a margine del foglio

La parte più interessante dello sviluppo di Le Notti di Nibiru è che è nato tutto da degli artwork tramite un processo di reverse engineering del setting. Sono partito così da dei dettagli dell’ambientazione presente nell’artwork e sono andato a generare l’intera ambientazione, in un processo che i game designer potrebbero chiamare bottom up (dai dettagli all’intero, in sintesi). Questo processo mi ha permesso di essere molto originale nella scelta di alcune tematiche e di alcuni elementi cardine dell’ambientazione, ma non è stato tutto automatico.

Anzi, all’inizio i meravigliosi artwork di Roman Kuteynikov suggerivano solo idee che, personalmente, mi sembravano già viste: questi animali, immersi in ambienti che richiamavano videogame come Shadow of the ColossusFinal Fantasy, mi davano l’idea di creature che gli umani potevano controllare o evocare, dunque delle sorte di summon alla jrpg; oppure potevano essere gli spiriti-guida/divinità ancestrali di un mondo druidico, immerso in una magia naturale.

Eppure tutto questo non mi convinceva perché l’originalità di Roman stava proprio nell’aver messo gli animali al centro, non gli umani o delle divinità. Erano animali dotati di alcuni dettagli onirici e fantasiosi, come le palle di un albero di natale appese alle corna oppure un corpetto metallico addosso. Qui c’è stato lo scarto e l’idea centrale: ogni animale aveva sì elementi surreali, ma quasi sempre di fattura umana. Dunque gli uomini c’erano, ma erano sotto alla pelle animale: gli uomini diventavano quegli animali.

Tutto questo non sarebbe potuto accadere se il tema-cardine degli animali fosse rimasto a margine, in background, dentro agli ambienti dipinti da Roman. Se la vostra ambientazione parla di magia e di stregoneria, ma la parte originale è che tutti i poteri derivano dalla vicinanza con enormi monoliti del passato, questo non può essere un mero elemento di setting descritto come “se vi avvicinate lì, allora la magia esiste”. Questo è il vostro setting: le città si erigerebbero attorno ai monoliti, i maghi farebbero a gara per trasportare parti dei monoliti nelle proprie tasche (se il minerale permette di lanciare magie anche se staccato dai monoliti) e le zone senza monoliti sarebbero totalmente deserte o in mano ad una natura così ferina da aver creato indisturbatamente dei predatori di superbe capacità – beh, già che ci sono questa idea me la tengo per il futuro!

Perché scrivere (ancora) un fantasy?

Il primo motivo sta tutto nel paragrafo precedente. Non pensiate che sia stato tutto scritto: non è così. La vostra fantasia può partorire ambientazioni in poco tempo se la nutrite dei giusti stimoli – e la lettura è lo stimolo migliore. Il piacere di creare è qualcosa che non si può imparare o consigliare: spero semplicemente che possiate conoscerlo col tempo!

Il secondo motivo è il più semplice: perché ci piace il fantasy, specialmente l’atto di esplorare le interazioni tra elementi di un mondo che non conosciamo! Ricordo ancora la bellezza di leggere opere come One Piece o di vedere anime come Made in Abyss solo per capire come si incastravano i vari misteri dell’ambientazione. Esplorare le enormi possibilità di un setting è ciò che mi intriga maggiormente come giocatore e anche come Narratore!

Il terzo motivo è invece più complesso. Il fantasy è stato per numeroso tempo descritto come il genere “semplice”, quello che affronti quando vuoi una ambientazione in cui tutto è permesso. Nulla di più sbagliato: opere come Le Notti di Nibiru (che è un science fantasy, come avrò modo di definire in futuro) si nutrono di ragionamenti e riflessioni su quali ricadute abbia ogni elemento che inserisci. Questo significa che non ci si improvvisa ahimé scrittori del fantastico, ma che ogni occasione è buona per imparare.
Anche inventare. Inventate un fantasy, ora. Imparate dagli errori e date sfogo alla vostra fantasia.
Non sapete cosa vi perdete!

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